Covid-19, la febbre è il sintomo d'esordio più frequente nei bambini. Lo studio Sip-Sitip

La febbre è il sintomo d'esordio più frequente (81,9% dei casi) dell'infezione da Sars-CoV-2 nel bambino, seguita da tosse (38%) e rinite (20,8%).
Al quarto posto c'è la diarrea (16%). Sono i risultati di uno studio multicentrico pediatrico condotto dalla Società italiana di pediatria e dalla Sitip (Società italiana di infettivologia pediatrica) su oltre 50 dei principali Centri clinici infettivologici italiani, presentato in occasione del Congresso straordinario digitale della Sip.
Nel corso della sessione Sitip è stata anche presentata un'ampia rassegna di studi internazionali sulla contagiosità dei bambini, ed è emerso che solo l'8% dei bambini sono i "carrier" di Covid. «Per fare un confronto basta pensare che nell'epidemia di influenza aviaria H5N1 i bambini avevano, invece, portato l'infezione in famiglia in circa il 50% dei casi», affermano Castelli Gattinara e Giangiacomo Nicolini, specialista in malattie infettive all'Ospedale San Martino di Belluno e membro del Consiglio direttivo Sitip. Il campione dell'indagine ha raccolto 759 pazienti, con più del 20% al di sotto di 1 anno di vita. «L'infezione da Sars-CoV-2 nell'infanzia, rileva lo studio, avviene prevalentemente in modo asintomatico o paucisintomatico: i bambini piccoli si possono infettare, ma spesso senza conseguenze. Si ammalano invece coloro che hanno già una patologia cronica, così come accade negli adulti e negli anziani», spiegano gli autori dello studio. Il motivo per cui i bambini si ammalano di meno «è ancora da scoprire - sottolineano gli esperti Sitip - le varie ipotesi attribuiscono un valore protettivo a una migliore risposta immunitaria, magari per il maggior stimolo delle altre infezioni virali frequenti nell'infanzia, per le tante vaccinazioni, per la minore espressione di recettori Ace-2 presenti nell'infanzia. Tutte ipotesi molto verosimili, ma ancora da confermare». L'indagine ha messo in evidenza che esiste un pattern tipico di presentazione con l'età. «Mentre i bambini sotto l'anno presentano più frequentemente tosse e rinite, i ragazzi più grandi, in età adolescenziale e preadolescenziale, hanno sintomi più tipici a quelli dell'adulto: alterazioni del gusto e dell'olfatto, vomito, mal di testa e dolore toracico» spiegano Silvia Garazzino, vicepresidente Sitip e Luca Pierantoni, consigliere della Sitip.
Il ritorno a scuola è associato al ruolo dei bambini nella diffusione del coronavirus di questo autunno. In realtà, sottolineano Gattinara e Nicolini, «tutte le indagini effettuate in vari Paesi del mondo dimostrano che la trasmissione avviene quasi sempre altrove e all'interno delle famiglie e gli studi in ambito scolastico mostrano una bassa trasmissibilità nelle scuole. Ecco perché gli asili e le scuole primarie possono rimanere aperte, con le opportune precauzioni e raccomandazioni di legge per la prevenzione dell'infezione da Sars-CoV-2, anzi devono farlo, data la loro importanza fondamentale per l'educazione e la socializzazione dei bambini».
Che i più piccoli presentino una scarsa capacità di trasmettere il virus lo dimostrano pure gli studi sui focolai nelle scuole: «A giugno in Inghilterra su 30 focolai scolastici la trasmissione dai e ai bambini ha interessato solo 8 casi e da bambino a bambino solo 2 casi su 30. In Germania tra marzo e agosto sono stati registrati vari focolai scolastici che hanno rilevato come le infezioni sono state meno comuni nei bambini di 6-10 anni rispetto ai bambini più grandi e agli adulti che lavoravano nelle scuole». E uno studio italiano, di Danilo Buonsenso, pediatra della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli Irccs di Roma, sembrerebbe confermare quanto detto fin qui: «Al 5 ottobre un singolo caso di infezione veniva riportato in più del 90% delle scuole, mentre un cluster epidemico con più di 10 studenti è stato riportato da una sola scuola», dichiarano i due medici. I due infettivologi per avvalorare la tesi, fanno riferimento anche una vasta metanalisi pubblicata a fine settembre sulla rivista "Jama Pediatrics" su un campione di 41.600 bambini e adolescenti, più 269.000 adulti. Lo studio ha mostrato come la condizione di 'contatto infetto' è circa la metà nei bambini rispetto agli adulti e anziani (probabilità di rischio: OR = 0,56). Anche la revisione di 81 articoli effettuata da Reza Sinaei della Kerman University of Medical Sciences, e pubblicata a settembre su 'World Journal of Pediatrics', mostra come i bambini riportino una minore percentuale di infezioni con manifestazioni meno gravi che negli adulti.