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La parola “connessione” evoca oggi, per lo più, la nostra quotidiana dipendenza da mezzi e tecnologie che ci danno l’illusione di essere costantemente in contatto a distanza con persone, gruppi, prodotti, servizi, informazioni.

Le connessioni di cui vogliamo parlare qui riguardano invece una dimensione più semplice, e tuttavia nascosta, della nostra esperienza: è la formazione di un gesto, la concertazione di un atto motorio, l’espressione di un bisogno vitale, la condivisione di un affetto, la proiezione di un’intenzione… Nulla di questo avviene nel vuoto: siamo continuamente immersi in una trama invisibile di sensazioni, in un campo dinamico di forze, in una maglia molteplice di rapporti. 

Avvicinarci a questa sfera di esperienza e dischiuderne le dimensioni significa prendere contatto con un livello di conoscenza di noi stessi e degli altri che può fare a meno tanto delle parole quanto dei risultati da raggiungere. 

Il progetto “Making Connections” è nato dal desiderio di esplorare la possibilità di abitare quella dimensione tacita del dialogo corporeo per superare l’isolamento che la nostra società, votata alla produttività e al mito dell’autonomia individuale, proietta su ogni forma di vita che non sia allineata a questi criteri. 

A volte anche i discorsi più democratici sull’inclusione tradiscono una logica unilaterale: includere chi è diverso, chi ha una diversa abilità, può ridursi spesso a una assimilazione alla norma generale, senza esaminare la reciprocità dell’incontro, la possibilità d’inventare altri modi di rapporto e di convivenza. 

Nel nostro percorso di ricerca sugli strumenti offerti da questi sistemi di conoscenza che si raccolgono nelle pedagogie somatiche – in cui annoveriamo il metodo Feldenkrais, l’approccio Body-Mind Centering, il Rolfing, e la lista non è esaustiva -, abbiamo scoperto che l’apprendimento attraverso il movimento e l’analisi delle dinamiche percettive, poteva essere un terreno comune dove coltivare una molteplicità di espressioni, il loro mutuo sostegno, la loro reciproca cura. 

A questo livello di comunicazione sottile, la parola “cura” prende più direzioni, diventa circolare e circolante, perché ci rende attenti e ricettivi alle manifestazioni inaspettate, alle infinite forme che può prendere la vita, come un minimo gesto. 

Abbiamo dialogato per anni con famiglie e bambini/e, adolescenti, adulti, implicati in percorsi complessi per il miglioramento della qualità della vita e delle cure, per il riconoscimento dei diritti, per la ricerca di terapie appropriate, per l’uscita dalla segregazione sociale e per la valorizzazione di competenze e conoscenze che emergono dallo stesso vissuto. 

“Making Connections” è un piccolo passo nel tentativo di rendere comuni, e il più possibile accessibili, quelle risorse di osservazione, ascolto, contatto e accompagnamento che decenni di ricerca nel campo dell’educazione somatica hanno formato. 

In questo senso, il progetto non si rivolge soltanto alla persona che vive con una disabilità fisica e/o cognitiva, ma coinvolge la famiglia, i caregivers e i terapeuti di riferimento nella scoperta e nella condivisione di altre modalità e altri criteri di relazione. 

L’apprendimento è inteso come esperienza vissuta di formazione continua di connessioni tra processi sensorimotori, fisiologici, mentali ed emozionali: è, in questo senso, un processo sempre nascente di formazione di “significati sentiti”, a partire dalla percezione dell’emergenza di un senso di sé che riguarda il corpo, le sue azioni e i suoi stati affettivi. 

Quello che gli ultimi cinquant’anni di ricerca nel campo della neurologia hanno affermato con le teorie sulla plasticità cerebrale, è la chiave per comprendere il fenomeno di formazione di nuove mappe neurali quando si configura uno schema d’azione nella coerenza delle stimolazioni sensoriali offerte dall’ambiente. 

Dai micromovimenti della fisiologia corporea alla locomozione nello spazio, dalla coordinazione di un’azione all’acquisizione della stazione verticale, la “materia” che forma l’esperienza fondamentale del nostro sviluppo evolutivo può essere attraversata come un repertorio di gesti e usi del corpo, e modulata in tempi d’interazione e di gioco che promuovono il senso di sicurezza, la curiosità, l’interesse, senza forzare il processo in vista di un obiettivo già determinato. 

Il processo di attenzione e di ascolto rivolto alle esperienze cinestetiche crea un particolare stato di consapevolezza sensoriale in cui il movimento diventa materia di esplorazione e scoperta, a partire dalle minime distinzioni di qualità, direzioni, espressioni e relazioni con l’ambiente. 

Per stabilire nuove connessioni è fondamentale partire dal riconoscimento del potenziale latente di ogni bambina/o, di ogni persona. Può trattarsi di minimi segni in cui si esprime una modalità sensoriale privilegiata, così come dei ritmi di attenzione, delle qualità del tono, delle attitudini e stati d’umore. L’approccio integrativo somatico partirà in ogni caso dalla premessa della creazione delle condizioni essenziali all’apprendimento, vale a dire il senso di sostegno e la sicurezza.

Una volta stabilita, la sicurezza permette di introdurre piccole variazioni cinetiche che domandano sottili adattamenti al cambiamento proposto. Nel contatto basato sulla reciprocità del feedback durante il movimento, la dimensione relazionale è essenziale. 

Più che l’applicazione di singole metodologie riabilitative, “Making Connections” vuole generare una circolazione tra approcci e metodi, per cercare di volta in volta gli elementi che sottendono l’invito a una esperienza dinamica, le modalità di contatto, le prospettive molteplici di osservazione del movimento. 

Cosa significa, dunque, creare connessioni?

Significa unire sensazione, emozione, azione… come recita il titolo del libro di Bonnie Bainbridge Cohen, la terapeuta e fondatrice dell’approccio Body-Mind Centering…

Significa connettere attenzione e intenzione…

Significa descrivere l’azione come “involucro di possibilità dinamiche, che integrano tutti i livelli coinvolti, per creare uno schema coerente”, come spiega Carl Ginsburg, insegnante del metodo Feldenkrais…

Significa sentire il rapporto tra l’esperienza della gravità e la nostra propulsione nel mondo che ci circonda, come insegna Ida P. Rolf, fondatrice del metodo Rolfing…

Significa, soprattutto, riconoscere e accogliere il vissuto dell’esperienza di accudimento di tutti i membri della famiglia, e fare in modo che anche questo possa sempre più riguardarci tutti, per generare un altro senso dello stare insieme. 

A cura di Thomas Greil e Carla Bottiglieri